La coltre dei sensi sommersi
Amara fortuna,
che tanto disperasti
al mondo
un pensiero caduto
nella gravità del cuore,
quando vorrai
coi sentimenti dilettarti
o confutare
dell'amore il senso
saprai come trovarmi:
i miei occhi
lacrimano sangue,
le mie palpebre
più non s'aprono.
(DI FRONTE AL VARCO)
Questo è il fato mai scritto
di chi non spiega gli eventi
se non li può immaginare,
e di chi regala emozioni
attraverso versi irrisolti,
a volte incompleti.
Codesta indagine attenta
distrattamente
inizia a prender forma
pur non avendo sostanza.
Analogamente si sente cantare,
pur tuttavia non riuscendo
a capire le parole.
Quel qualcosa
che solo i sensi
assopiti
possono cogliere,
non la ragione,
che resta persa
a districar dei ritornelli
il dritto verso,
ma giammai
ne troverà la direzione
e il vero intento.
Tutto ciò che di emotivo e profondo
vi è nei brani a venire
fiorirà leggendo
e appassirà comprendendo.
(LA SCRITTA)
Non rubiamo all'anima
che la felicità eterna.
(OLTRE LA SOGLIA)
I cancelli si chiudono
e le chiavi si spezzano,
come di catene
il suono arrugginito
di un ferreo rimorso
che piomba addosso,
con tutto il peso
dell'incomprensibile.
Ci sotterriamo
anonimi ricordi
timidi privilegi
anoressiche perturbazioni del corpo.
E cominciamo a discutere
l'un l'altra
sulle vicissitudini del cosmo.
La gente crede
che io sia morto,
ma in realtà vivo
tramontando
in gesti sconnessi
di persone affannate,
quotidianamente perse
in utopiche chimere:
le vedo rincorrersi
su tortuosi percorsi
e mai si raggiungono
agli obiettivi preposti.
Disperdono gioia
nella vita sofferta,
ed ignorano i benefici
di una carità mai avuta.
Ora temono il presente,
poichè dell'avvenire
bramano
le più effimere ricchezze.
E quando ormai
si credono
realizzate in toto
è proprio allor
che ha il via per loro
la discesa nel profondo:
si smarriscono
perverse
nell'abisso di se stesse.
Dopo essere entrate
nel labirinto più tortuoso
dei loro intimi pensieri
costruiscono prigioni
e più non sanno
autonomamente uscirne.
Ma anch'io
non so divincolarmi
da queste immobili condizioni,
e resto eternamente recluso
negli spazi non geometrici
dei miei emotivi ragionamenti.
Mi lascio macerare
lacerato
privo di stupore
in questo sacro luogo
di preghiera,
sopportando i lividi
dei silenzi,
di pallide figure
lasciate a marcire
nella loro estrema solitudine.
Nessuna promessa
varcherà
nitidi rancori
per potersi abbattere
in desiderate consolazioni.
A volte ho paura
e non voglio contaminarti.
Mi sento sola,
ristretta
in questa fredda
presenza
delle mie vesti stracciate,
vulnerabili
al passaggio del tempo.
Ma io non ho più respiri
da donarti
Non ho più sguardi
da offrirti
Non ho più parole
da pronunciarti
Non ho più braccia
per accoglierti
Non ho più mani
per accarezzarti.
Possiedo solo il freddo
delle mie fragili ossa
e dei miei gelidi ricordi,
immolati sull'altare
della sofferenza.
Non mi meraviglio di te,
non voglio guarirti,
non posso comprenderti.
Non ho più te.
Non potrò mai più toccarti.
E forse non ti ho mai avuta.
Sono cenere.
Eppure esisto.